Capanna Margherita

Tra gli articoli protagonisti della rubrica non poteva mancare un pezzo dedicato ad uno tra i grandi classici delle montagne valsesiane.

La Capanna Margherita.

Descrivere ciò che questo luogo suscita in me non è affatto semplice, perché rappresenta una varietà innumerevole di sfumature emotive.

E’ uno dei simboli dell’epopea che ha segnato l’inizio della storia alpinistica sulle Alpi italiane a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900.

E’ simbolo di orgoglio per gli abitanti di una valle che si sono occupati della sua costruzione e da oltre un secolo hanno a cuore il suo mantenimento.

E’ oggetto del desiderio per molte persone per cui raggiungere i suoi 4554 m rappresenta il coronamento di un sogno.

E per il sottoscritto? Cosa rappresenta? Rappresenta l’apice di un viaggio. Un viaggio che ogni volta e per motivi diversi è sempre emozionante. Ogni volta che sono tornato da lassù l’ho fatto portando con me uno zaino carico di emozioni.

Ricordate la storia di Alice che attraverso la tana del coniglio cadde nel Paese delle Meraviglie? Ecco.

Allo stesso modo, per me, ogni volta che varco la soglia della cabina della funivia di Alagna inizia un viaggio attraverso il mio Paese delle Meraviglie.

IMG_3438Un viaggio che mi spinge ad avventurarmi in luoghi isolati e selvaggi, vicino al cuore di quel gigante fatto di roccia e ghiaccio qual’è il Monte Rosa. Talmente vicino che sembra quasi di avvertirne il respiro ed il battito del cuore.

Prima attraverso il Vallone dell’Olen e successivamente dal Passo dei Salati, la funivia sale velocemente dai 1200 m di Alagna in direzione di Punta Indren a 3200 m. Dai grossi vetri delle cabine si può osservare la metamorfosi dell’ambiente, man mano che la quota aumenta. gli alberi si fanno più radi. I pascoli lasciano il passo alle pietraie, le cui diverse tonalità di grigio dipingono un ambiente dall’aspetto austero e lunare.

E’ il primo contatto con la montagna, ma è già sufficiente per incutere un certo timore reverenziale.

D’improvviso la cabina della funivia termina la sua corsa, le porte automatiche si aprono ed un soffio di aria fredda e pungente sbatte violentemente sul viso. L’ambiente esterno ha cambiato nuovamente aspetto e le rocce, in parte, hanno lasciato posto all’azzurro scintillante del ghiacciaio.

Fuori dalla stazione d’arrivo della funivia, immediatamente e con un suono sordo, le porte automatiche si chiudono dietro le spalle.

Ogni volta, in quell’istante mi sento terribilmente solo al cospetto di questo gigante che sembra quasi osservarmi severo dall’alto in basso.

Il cammino inizia sulla traccia che attraverso gli ultimi lembi del ghiacciaio di Indren porta alle rocce che conducono ai rifugi Mantova e Gnifetti posti rispettivamente a 3500 e 3600 m. Questi due avamposti rappresentano il punto d’appoggio utilizzato per poter salire il giorno successivo ai 4554 m della Punta Gnifetti ed alla Capanna Margherita. Entrambi sono dotati di numerosi posti letto e varcandone la soglia e calcando il vecchio pavimento in legno si avverte immediatamente un clima particolare. Un misto di emozioni che varia dall’apparente tranquillità scanzonata delle Guide Alpine fino alla febbrile attesa di chi per la prima volta sta calcando le pendici di questa montagna consapevole che tra poche ore camminerà verso la realizzazione di un sogno. L’atmosfera è sempre particolarmente elettrizzante, alcuni chiacchierano di passate avventure in montagna, altri sistemano l’attrezzatura necessaria per la salita del giorno successivo, altri ingannano l’attesa prima del turno di cena scrutando la prima parte del pendio ed i numerosi crepacci attraverso i quali si snoda la traccia che sale in direzione del Colle Vincent.

IMG_3487Ben presto giunge la notte ed il buio cala sul Monte Rosa, è necessario coricarsi presto perchè il giorno successivo la sveglia suonerà molto presto ed è fondamentale riposare il più possibile per affrontare al meglio la salita del giorno successivo.

Dopo il suono della sveglia il rumore metallico delle attrezzature inizia ben presto a diffondersi per le stanze del rifugio e dopo la colazione, insieme ai compagni di cordata, si è pronti per iniziare a risalire il pendio del ghiacciaio del Garstelet accompagnati dalla luce delle torce frontali. Un passo avanti all’altro si percorre la traccia che scivola sinuosa tra le bocche dei crepacci, la pendenza è da subito impegnativa e non accenna a diminuire fino a che non si giunge nei pressi del Colle Vincent; davanti agi occhi si stagliano diverse cime alte più di 4000 m: a sinistra ci sono i Lyskamm e la loro impotente parete nord, mentre più a destra si possono ammirare il panettone tondeggiante che descrive la calotta terminale della Piramide Vincent e più vicino le rocce appuntite del Balmenhorn da cui spiccano il Bivacco Giordano e la statua del Cristo delle Vette, mentre più lontane ci sono le rocce scure del Corno Nero o Schwarzhorn.

IMG_3449La traccia piega decisamente a sinistra aggirando il Balmenhorn ed inizia nuovamente a salire. Ripida. Mentre i ramponi mordono la crosta di neve levigata dal vento con cadenza regolare si sale in direzione del Colle del Lys a quota 4151 m.

IMG_3476Costituito da un vasto pianoro, segna la linea di confine tra il territorio italiano e quello svizzero ed è contornato da diversi 4000: a Ludwigshoe, Corno Nero, Balmenhorn e Lyskamm si aggiungono le cime di Punta Zumstein, Punta Dufour (La più elevata del massiccio del monte Rosa) e Parrot. Mentre in lontananza si stagliano le sagome inconfondibili di Punta Gnifetti e della Capanna Margherita. Infine, il panorama è impreziosito dalla vista del Cervino metre il Ghiacciaio del Grenz scivola sinuoso in direzione di Zermatt.

Sempre dal Colle del Lys, è possibile scorgere, alla base della Cresta Est del Lyskamm orientale, un gruppo di rocce che emergono dai ghiacci.

Si tratta della Roccia della Scoperta.

Questa vetta “minore” del Rosa è legata ad una leggenda che racconta la storia di sette giovani valdostani, i quali tentarono l’impresa di valicare il Monte Rosa andando alla ricerca della cosiddetta Valle Perduta. La leggendaria Valle di origine delle popolazioni Walser con verdi pascoli, strade fatte di formaggio e fiumi di vino…

Dopo una breve sosta è tempo di rimettersi in cammino seguendo la traccia che scende brevemente in direzione del Colle Sesia giunti nei pressi del quale sarà necessario attraversare in diagonale all’ombra di alcuni seracchi. Successivamente il percorso aumenterà nuovamente la pendenza sino a giungere sotto il Colle Gnifetti e la Capanna Margherita. Dal Colle la traccia piega decisamente a destra ed attraverso un tratto di cresta molto appoggiato, conduce alla Vetta della Punta Gnifetti ed alla Capanna Margherita.

La discesa avviene per il medesimo percorso seguito all’andata. Non esistono parole per descrivere le emozioni che si provano nel momento in cui si giunge in vetta. Il paesaggio è emozionante perché spazia a 360 gradi lungo tutto l’arco alpino.

E’ pure emozionante affacciarsi dal balcone della Capanna, a sbalzo sulla gigantesca parete sud del Monte Rosa.

E’ emozionate entrare nella Capanna, le cui pareti sono piene di ricordi legati alle imprese alpinistiche eseguite sul Rosa ed alle persone che le hanno compiute.

E’ emozionante calcare il vecchio pavimento in legno della Capanna, sentirlo scricchiolare sotto il peso degli scarponi.

Persino il sibilo del vento attraverso i tiranti, riesce ad essere emozionante…e penso che potrei continuare a scrivere per ore riguardo tutto ciò senza riuscire ad essere esauriente. L’unico modo per poter cogliere fino in fondo la vera essenza di questo luogo è andarci, compiere questo viaggio, immergersi in questo Paese delle Meraviglie. Scoprirete che la leggendaria valle della felicità esiste veramente e non è poi così tanto perduta. E’ solamente questione di avere il coraggio di muovere un passo, un semplice passo nella direzione giusta, in direzione della felicità…

Consigli tecnici:

La salita non presenta particolari difficoltà alpinistiche, ma non è assolutamente da sottovalutare in quanto si svolge in buona parte in ambiente glaciale. Se non sufficientemente allenati si potrebbero riscontrare problemi di natura cardiorespiratoria dovuti alla scarsa preparazione alla quota. Inoltre deve essere prestata particolare attenzione al tratto sotto la Piramide Vincent a causa della presenza di numerosi crepacci, presenti anche in diversi altri punti della salita sotto il colle del Lys.

Se si vuole affrontare la salita alla Capanna Margherita consiglio di fare riferimento agli uffici delle Guide Alpine locali.

Segnavia: traccia su ghiacciaio
Partenza: Alagna Valsesia 1191 m
Arrivo: Punta Gnifetti – Capanna Margherita 4554 m
Dislivello: 3363 m

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Massa del Turlo

Quante volte è successo di ricordare un luogo associandolo non solamente alle bellezze paesaggistiche o architettoniche, ma anche alle emozioni vissute trascorrendo momenti particolari…Esistono luoghi che più di altri sono in grado di risvegliare in noi suggestioni, ricordi, lacrime, o meglio ancora sorrisi.

DSC_0163Il luogo di cui vi parlerò oggi, per me, rappresenta uno di questi…un luogo dal sapore d’autunno. Che fa rivivere e sentire addosso il dolce tepore del sole di ottobre e risplendere negli occhi i colori caldi ed avvolgenti delle foglie dei faggi. Un luogo che sa di piacevoli camminate all’aperto attraverso prati e boschi. Un luogo che risveglia il dolce sapore delle risate in compagnia attorno allo scoppiettare di un fuoco, magari accompagnate da un buon bicchiere di vino rosso. Un luogo che ha il sapore dell’amicizia. Quella vera. Genuina come le persone di montagna.

Il luogo di cui vi vorrei parlare oggi è la Massa del Turlo.

La via di salita più seguita per questa montagna inizia dalla località Barattina, una frazione di Varallo Sesia. L’itinerario è piuttosto lungo e per questo motivo sovente si sceglie di salire in auto lungo la carrozzabile che conduce all’Alpe Piane. Quì si prende il sentiero che sale alla vicina chiesetta, sorpassa a monte il Rifugio Camosci, attraversa un ampio alpeggio e superando una prima faggeta raggiunge la Sella di Vaneccio. proseguendo lungo l’ampia dorsale il bosco si fa via via più rado si perviene prima alla Bocchetta Schillottà e successivamente, tagliando in diagonale un tratto di cresta rocciosa, si raggiunge la cima di Ventolaro.

DSC_0149Continuando lungo la cresta si guadagna facilmente un’anticima, quindi la Bocchetta del Sonato ed infine la cima della Massa del Turlo dominata da una enorme croce in ferro. Dalla vetta si gode di un meraviglioso panorama su gran parte dell’arco alpino occidentale, sui laghi d’Orta e Maggiore e su numerosi paesi della Val Strona e Val Sesia.

Nota:
Poco al di sotto della cime si stacca un itinerario molto interessante, ma altrettanto impegnativo, che conduce alla vetta del Monte Capio.

L’itinerario di discesa ricalca fedelmente quello seguito all’andata ed in circa un’ora riconduce nuovamente all’Alpe Piane.

L’escursione di per se non presente alcuna difficoltà eccessiva, inoltre il dislivello modesto la rendono accessibile ed adatta a tutti.

Questo luogo è per me così caro perché penso rappresenti molto bene lo spirito con cui vivo la Montagna. Perché montagna non è necessariamente sinonimo di dislivelli a 3 cifre, scalate oltre il sesto grado o traversate su ghiacci perenni a temperature polari.

Montagna è anche e soprattutto sinonimo di amicizia, allegria, attimi felici condivisi insieme alle persone a cui vogliamo più bene.

Attimi e persone che lasceranno un ricordo indelebile e contribuiranno a dare quel sapore speciale a quei luoghi che hanno fatto da contorno a tutto questo…DSC_0194.jpg

Consigli tecnici:

Nonostante l’itinerario percorso non presenti particolari difficoltà, consiglio di non percorrerlo durante i mesi invernali soprattutto in caso di innevamento abbondante.

Segnavia: 620
Partenza: Alpe Piane di Cervarolo 1222 m
Arrivo: Massa del Turlo 1959 m
Dislivello: 737 m


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Monte Ventolaro e Montagna Forata

Era una fredda domenica di marzo. Una domenica uggiosa, dai tratti più autunnali che primaverili. Una di quelle domeniche in cui, ovviamente, è difficile trovare qualcuno che, nonostante il brutto tempo, abbia voglia di uscire di casa per andare a fare quattro passi in montagna, ma nonostante questo, il richiamo delle montagne, la voglia di uscire a respirare aria pulita sono stati più forti.

Più forti della pigrizia.

Più forti del brutto tempo.

Più forti della solitudine.

Così uscii di casa di buon ora con l’intento di salire il Monte Ventolaro, montagna su cui non ero mai stato.

Foto 17-03-19, 12 42 21

Lasciata l’auto nel parcheggio a fianco al Municipio di Scopa, in Valsesia, ho imboccato il sentiero sul lato opposto della strada inoltrandomi in un fitto bosco di faggi e castagni. Immediatamente dopo aver mosso i primi passi mi rendo conto di non essere solo. Ho la fortuna di poter osservare diversi animali selvatici scesi in cerca di cibo accanto al sentiero che, seguendo la bella mulattiera, sbuca nei pressi dei verdi prati all’Alpe Pian del Sasso.

Entro nella radura antistante l’alpe.

Il silenzio è rotto solamente dal verso delle ghiandaie che, allarmate dal mio arrivo, fuggono all’interno del bosco. Il contrasto tra la nebbiolina al limitare della raduna ed il loro piumaggio colorato rende l’atmosfera ancor più suggestiva.

Foto 17-03-19, 11 50 53Oltrepassati i caseggiati dell’alpe, il sentiero si tuffa nuovamente tra le braccia degli alberi fino ad incontrare la strada poderale che collega tra loro diversi alpeggi costituiti da alcune baite recentemente ristrutturate. L’ultima in sequenza è l’Alpe Piana di Biagio, oltre la quale il sentiero rientra nuovamente nel bosco, sale deciso, supera i resti di alcune baite dismesse e porta ad accostarsi all’Alpe di Scotto situata poco al di sotto della bocchetta omonima. Dalla Bocchetta è possibile raggiungere, attraverso diversi itinerari, Boccioleto; una graziosa località in Val Sermenza che sorge all’ombra dell’omonima “Torre”; un monolito di solida roccia che può essere scalato seguendo diverse vie di arrampicata immersi in un ambiente unico e suggestivo.

Il mio itinerario prosegue, invece, verso sinistra, sulla cresta erbosa che conduce alla vetta del Monte Ventolaro. Cima che ha la particolarità di essere formata da tre vette distinte da cui (con il bel tempo) è possibile osservare il panorama sia verso la Valsesia che la Val Sermenza. Oltre la vetta il sentiero degrada in basso in direzione della Cima delle Balme e si collega con i sentieri che giungono dalle vicine località Valsesiane: Scopello, Piode, Campertogno e Boccioleto.

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Decido di fermarmi qualche istante per godermi la vetta.

Inizia a scendere una leggera pioggia.

Le nuvole basse nascondo il panorama circostante.

Mi rendo conto che tutto ciò mi sta regalando un senso di pace pazzesco.

Tutto sembra immobile.

Apparentemente.

In realtà i pensieri corrono veloci trovando il giusto spazio all’interno della mia mente. Quello che agli occhi può sembrare un ambiente ostile ha saputo regalarmi attimi molto intensi.

La prima sensazione di freddo mi risveglia da questo stato di “torpore” e mi riporta velocemente alla realtà. Inizio a muovermi seguendo il percorso seguito all’andata, ma lungo il cammino decido di effettuare una deviazione: poco al di sotto della cima si stacca dall’itinerario principale il sentiero 226e che conduce in circa mezz’ora alla suggestiva cima della Montagna Forata. Il sentiero si svolge su tracce e nei pressi della parte finale, attraverso un tratto esposto attrezzato con una catena, conduce ad una sorta di “finestra” naturale che ne costituisce la cima. La particolare forma ad arco della roccia ha alimentato una leggenda locale secondo la quale questa sia opera del demonio che l’avrebbe urtata con le corna mentre trasportava all’inferno l’anima di un’alpigiana sorpresa in un giorno festivo a rubare del fieno.

Mi rendo conto di essermi trattenuto troppo a lungo e che il meteo non accenna a migliorare, così, seguendo a ritroso il sentiero ritorno sulla cresta erbosa del Ventolaro e velocemente ridiscendo seguendo l’itinerario percorso all’andata.

Dopo circa un’ora e mezza di cammino sono nuovamente al parcheggio dove ho lasciato l’auto. La pioggia ha smesso di cadere e, nonostante le giornate siano ancora corte, le nuvole lasciano spazio a qualche timido raggio di sole.

Ancora una volta la montagna ha saputo regalarmi momenti unici ed indimenticabili. Ha permesso che la “sfidassi” in un giorno in cui sarebbe stato più semplice rimanere chiuso in casa prigioniero dei miei pensieri. Ha fatto si che fossi ammagliato dal suo fascino abbandonandomi completamente ad essa, ma al momento giusto ha anche saputo riportarmi alla realtà facendo in modo che tornassi al momento opportuno.

Consigli tecnici:

Consiglio di percorrere questo itinerario nel periodo tra da marzo/aprile ed ottobre/novembre (A seconda delle condizioni di innevamento). Tranne che per il tratto terminale che conduce alla Montagna Forata, il percorso non presenta difficoltà particolari. La salita alla Montagna Forata può essere evitata seguendo semplicemente l’itinerario principale contrassegnato dal segnavia 226. Per chi volesse compiere in discesa un percorso alternativo, dalla cima del Ventolaro è possibile scendere in direzione della vicina Cima delle Balme e seguendo i sentieri 231 e 226b ritornare a Scopa compiendo un giro ad anello che attraversa anche la graziosa Frazione di Frasso.

Segnavia: 226 e 226e per la salita alla Montagna Forata
Partenza: Scopa 622 m
Arrivo: Monte Ventolaro 1836 m
Dislivello: 1214 m

 

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Pizzo Tracciora

La salita al Pizzo Tracciora da Rossa rappresenta uno dei grandi classici delle escursioni Valsesiane. Difficilmente troverete qualcuno in Valsesia che non vi è mai salito o non lo conosce, ma ciò non vuol dire che questa montagna non debba essere considerata meno di altre. La posizione centrale offre la possibilità di godere di bellissime vedute a 360 gradi, inoltre la cima può essere considerata come punto di partenza per effettuare diverse traversate verso la Val Cavaione oppure verso Cervatto in Val Mastallone. Infine, altro particolare non trascurabile, le sue forme arrotondate lo rendono adatto ad escursioni sci-alpinistiche durante l’inverno. Insomma, se volete vivere la montagna 365 giorni l’anno non dovrete far altro che salire al Pizzo Tracciora!

IMG_2738L’itinerario inizia dal grazioso paese di Rossa, dove, lasciata l’auto nel parcheggio adiacente la piccola piazza, si può imboccare il ripido sentiero che in breve porta alla località Vaz. Oltrepassato il bivio nei pressi della suddetta località, il percorso, attraverso prati ed orti coltivati, conduce alla frazione Piana caratterizzata dalla presenza di due chiesette. Superato il piccolo abitato, la mulattiera prosegue inoltrandosi all’interno di un rigoglioso bosco di faggi oltre il quale, si giungerà all’Alpe Campello. Luogo in cui vi consiglio di fermarvi per una sosta ed ammirare la grandiosa vista sul Massiccio del Monte Rosa che si aprirà davanti ai vostri occhi. Dall’Alpe Campello il percorso si inoltra nuovamente all’interno di un bosco molto rigoglioso per poi sbucare nei pressi dei pascoli tra le Alpi Prato Bianco di Sotto e Prato Bianco di Sopra. Questi luoghi devono i loro nomi alle splendide fioriture di flora alpina che ricoprono i prati durante la stagione primaverile, ma quest’anno la primavera ha deciso di presentarsi sotto una veste inusuale quindi l’unico colore bianco che abbiamo potuto ammirare è stato quello dovuto dal nevischio sceso dal cielo! Nei pressi dell’Alpe Prato Bianco di Sopra si collega l’itinerario 405 che sale dalla Fazione Folecchio di Rossa e rappresenta una variante a questa che è la classica via di salita oppure, un’alternativa per la discesa per chi non volesse ripercorrere il medesimo itinerario seguito in salita. Per chi decidesse di seguire il sentiero 405 in discesa, considerate che una volta arrivati a Folecchio per tornare al parcheggio dovrete percorrere un tratto in salita su strada asfaltata.

IMG_2739Oltrepassato il bivio con il sentiero 405 il percorso prosegue con pendenze via via più attenuate, si supera dunque un secondo bivio che incrocia il sentiero proveniente dalla Val Mastallone e si giunge finalmente in vetta. La Cima è caratterizzata dalla classica croce di vetta accanto alla quale è stato posto un tavolo in pietra, così, nelle giornate più limpide potrete ammirare il panorama standovene comodamente seduti mentre vi gusterete i panini portati nello zaino coccolati dai tiepidi raggi del sole.

Gambe distese.

Mani incrociate dietro alla nuca.

Le montagne davanti a voi.

E un senso di pace e serenità impagabili.

Si tratta di uno di quei luoghi da cui non si vorrebbe più andar via, ma fidatevi, la discesa vi offrirà qualcosa di ancor più prezioso.

Ripercorrendo a ritroso il percorso seguito in salita giungerete nuovamente all’abitato della Frazione Piana, seguite quindi il sentiero 403 che vi condurrà, prima attraverso un bosco e poi attraverso verdi prati, alla Frazione Rainero. Oltrepassati alcuni orti e le prime case dell’abitato giungerete all’Azienda Agricola Rainero.

Ed è qui che entrerete all’interno di un mondo incantato, in una favola.

Sì, perché le emozioni che proverete in questo luogo difficilmente riuscirete a provarle altrove. Merito di Michela e Claudio, i proprietari. Merito del luogo. Merito di Henry, il loro Labrador. Insomma, merito di un mix “letale” di luoghi, persone ed emozioni. O meglio: un mix di persone speciali che hanno deciso di vivere in un luoghi speciali e che insieme trasmettono emozioni speciali. Non vi dico altro perché vorrei far nascere in ognuno di voi che leggerà la curiosità di recarsi in questo luogo per toccare con mano quanto ho vissuto io di persona.

Ne varrà la pena.

Davvero.

Da Rainero, per tornare al punto di partenza, non dovrete far altro che seguire il comodo sentiero lastricato che scendendo dolcemente si ricongiunge, poco sopra l’abitato di Rossa, con l’itinerario 400 seguito all’andata.

Consigli tecnici:

Il percorso non presenta particolari difficoltà. Durante la stagione invernale prestare attenzione alle condizioni dell’innevamento. Soprattutto nel tratto successivo all’Alpe Campello.

Segnavia: 400
Partenza: Rossa 813 m
Arrivo: Pizzo Tracciora 1917 m
Dislivello: 1104 m

 

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Consigli per cominciare a camminare in montagna.

55929412_314196295911029_4287881574919176192_nLa primavera e’ ormai arrivata e la voglia di godersi il sole e la natura si fanno sempre piu’ prepotenti. Se siete finiti su questo articolo, pero’, state probabilmente cercando di superare un piccolo freno personale… e chi non ne ha in fondo?! La paura di fare qualcosa piu’ grande di noi stessi, la paura di superare quella linea che delimita la nostra zona di comfort per la quale proviamo un brivido di paura al solo pensiero.

Oggi abbattiamo questo muro mentale, ma per poterlo fare dobbiamo individuare prima di tutti quali sono i freni che ci impediscono di fare quel qualcosa di nuovo.

Non so dove andare – Da solo non me la sento.

Le informazioni sui sentieri non mancano, sui siti turistici locali, sulle guide turistiche e sulle cartine. Personalmente mi sono affidata spesso a Gulliver e poi, con il tempo e conoscendo meglio le zone, mi sono affidata ai cartello delle escursioni che trovi a inizio percorso. I percorsi si dividono in turistici (segnalati con la lettera T), escursionistici (E per gli escursionisti, EE per gli escursionisti esperti) e attrezzati (EEA); siete alle prime armi è meglio non affrontare nulla di più impegnativo di un percorso turistico. Fare escursioni con chi già è avvezzo a camminare per sentieri e montagne non è solo una questione di farsi compagnia, ma anche un modo semplice, veloce e piacevole di accumulare esperienza.

Non so come organizzarmi

Soprattutto in montagna (e non solo in alta quota), il meteo è mutevole: meglio partire con capi tecnici, vestendosi a strati, togliendo e mettendo quello che serve in caso di pioggia, freddo, caldo o sudore eccessivo. In ogni caso, meglio evitare il cotone, preferire capi traspiranti perché camminando in montagna la temperatura corporea si alza e si suda, e prevedere sempre un capo anti pioggia. Camminare nella natura significa avere a che fare con sassi, pietre, terreni scivolosi o sdrucciolevoli, pozzanghere, fiumi e quant’altro. Partire con un paio di sneaker da ginnastica è ragionevolmente controindicato tanto quanto acquistare un paio di scarponi per scalare l’Everest per andare in collina. A seconda di dove si pensa di andare, le scarpe da trekking dovrebbero avere determinate caratteristiche. Serve per riporre i capi di abbigliamento che si tolgono strada facendo; per l’acqua e il cibo; per gli effetti personali; per guide, cartine e quant’altro: uno zaino è il compagno fedele di qualsiasi escursionista. Per sceglierlo, controllate prima di tutto che sia comodo, confortevole, areato, impermeabile e sufficientemente capiente. Se poi ci sono tasche e taschini a portata di mano tanto meglio. (leggi anche Come scegliere lo zaino giusto per un viaggio )

Non si tratta di partire con un pack adatto all’attraversamento del Sahara, ma un coltellino multiuso e un fischietto per richiamare soccorsi e attenzione in caso di cadute o infortuni possono essere senza dubbio utili.

Non so come affrontarla e se fisicamente ce la faccio.

Un’escursione non è una gara: per godersi appieno l’esperienza e comprendere davvero perché camminare nella natura rende felici è meglio prendersi il tempo che ci vuole. I sentieri turistici sono segnati e segnalati, ma farsi un’idea del cammino prima di partire, seguirlo su una carta topografica e magari scaricare qualche traccia GPS (o usare le funzioni di un orologio specifico) può evitare spiacevoli situazioni.

Ad ogni modo ricorda che non e’ importante la destinazione ma il percorso. E’ successo a tutti di partire per un rifugio o un percorso e a meta’ constatare di non essere nelle condizioni di poter arrivare fino in fondo. Come detto poco sopra non e’ una gara e, soprattutto all’inizio, riuscire a intraprendere un percorso (magari anche da soli) e’ gia’ una conquista rispetto al passato. Con il tempo, poi, saprai sempre meglio fino a che punto spingerti e quando invece fermarti. Riconoscere i propri limiti (soprattutto in montagna) e’ uno degli aspetti piu’ importanti: non si tratta di dare il 100% per arrivare, devi saperti conoscere abbastanza bene per poterti spingere a salire sapendo che poi dovrai anche scendere. E spesso gli inconvenienti succedono proprio durante la discesa, quando il corpo non e’ piu’ cosi’ impegnato e la mente fa calare la soglia dell’attenzione.

 

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Hiking o Trekking?

Non so se e’ solo una mia percezione, ma sono ormai un paio di anni che ho come la sensazione che la montagna sia tornata di nuovo di moda, con tutti i pro e contro del caso. Anzi, con moltissimi pro e un solo contro: tutti si sentono di poter fare qualsiasi cosa.

L’idea di scrivere questo articolo mi e’ venuta in seguito a una scena che e’ andata piu’ o meno cosi’: una ragazza giovane arriva in negozio, mi dice che ha bisogno di una corda e nel chiedermi quanta a mio parere ne avrebbe avuto bisogno, mi spiega che sarebbe andata a fare una via ferrata assicurata con una corda. Solo ed esclusivamente una corda. Non mi dilungo su come e’ proseguita la questione, ma ammetto che mi ha lasciata di sasso.

Cosi’ ho pensato a come e’ cambiato il mio modo di vedere la montagna negli ultimi anni ed e’ vero, sta cambiando qualcosa, e non e’ solo il modo di chiamare una pratica sportiva. Sta cambiando l’approccio. Perche’ si, devi sapere che per fare determinate cose hai bisogno di una certa attrezzatura, esperienza e allenamento.

E nella definizione della pratica sportiva che prima era semplicemente “vado in montagna” (con piu’ o meno enfasi a seconda di cosa dovessi fare), anche io mi sono trovata a prediligerne una piuttosto che un’altra. Vi starete chiedendo di che cosa diamine stia parlando. Ok, ok, avete ragione! Sto parlando di una semplice divisione: hiking e trekking. Termini inflazionatissimi e spesso usati per dire tutto e dire niente.

Hiking.
Ho scoperto che questa pratica sportiva e’ definita come camminata (piu’ o meno impegnativa) in collina o montagna svolta nella giornata.
Ho poi scoperto che all’interno di questa ci sono 3 pratiche sportive:

  1. Nature hiking: la camminata nel verde, facile facile, con un sentiero adatto anche alle famiglie e ai piu’ piccoli
  2. Mountain hiking: l’ambiente cambia e la camminata e’ fine al raggiungimento di una meta in quota. Si parla di difficolta’, dilslivelli e percorsi anche molto impegnativi.
  3. Fast hiking: fondamentalmente la nuova pratica sempre piu’ in voga. Hiking veloce, al pari di una corsa ma fatta in montagna.

Trekking.
Fondamentalmente puo’ essere considerato al pari del mountain hiking ma si sviluppa su piu’ giorni. Vuol dire dormire in un bivacco, dormire in tenda, mangiare un pasto caldo e organizzarsi per poterlo fare, avere un’attrezzatura a piu’ strati, calda e leggera da portarsi dietro. Scoprendone il significato ho scoperto che effettivamente quello che mi serve per poter affrontare un trekking e’ molto diverso da quello che potrebbe servirmi per affrontare una giornata di hiking in compagnia.

Credo che sia giusto adottare termini inglesi laddove rendono meglio un concetto, ma credo anche che ci debba essere un concetto dietro ad una parola e in questo caso e’ lo sport. Spero che questo articolo possa essere illuminante come lo e’ stato per me. Personalmente ho scoperto che vorrei provare ad arrivare a fare fast hiking, e questo e’ stato un modo per pormi un nuovo obiettivo ambizioso su cui penso e spero di lavorare tutto il 2019!

40496328_2180853025525157_7717465664318865408_n      Stay tuned 🙂

 

Una vita in ferie

Ferie a Marzo e dove vado? Ancona!
Si, anch’io ero un po’ perplessa prima di essere travolta dalle meraviglie della regione, e devo ammettere che mi sono positivamente stupita per quanto le Marche abbiano da offrire.

Il patrimonio naturalistico marchigiano è imponente: quasi 90.000 ettari del territorio sono ricoperti da due parchi nazionali (Monti Sibillini e Gran Sasso e Monti della Laga), quattro parchi regionali (Monte ConeroSasso Simone e SimoncelloMonte San Bartolo e Gola della Rossa e di Frasassi) e sei riserve naturali (Abbadia di FiastraMontagna di TorricchioRipa BiancaSentinaGola del Furlo e Monte San Vicino e Monte Canfaito).

Avendo una settimana di tempo da condividere con il mio marchigiano, le attivita’ sono veramente innumerevoli:
– Montefeltro a cavallo
– Parco del Conero con Maia e la vista immensa della natura montuosa a ridosso del mare
– trekking sul Gran sasso
– trekking Monti Sibillini

… l’idea e’ quella di condividere la bellezza del nostro territorio italiano che non ha nulla da invidiare a quello straniero, di valorizzare i piccoli comuni che gia’ si sono mossi in questo senso, offrendo strutture idonee e organizzando eventi per i turisti che vogliono conoscere questo spicchio d’Italia. La proposta e’ quella di riprendere in mano cio’ che e’ nostro con il mezzo del territorio e il fine della meraviglia (Manzoni 200 anni fa diceva ” la poesia e la letteratura in genere deve proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo).

Vi aggiorno presto!!

 

 

Mi capita che

Come cambia il mondo. Sono andata fino in Islanda e non ho visto nemmeno una parvenza di striscia verde nel cielo. L’aurora la si vede solo d’inverno. Poi in una giornata che poteva essere perfetta semplicemente già così com’era ecco che il mondo ti stupisce. L’hanno ufficialmente chiamata “l’aurora boreale del Piemonte”. E io mi ricorderò sempre mia sorella che me la indica, io che accosto la macchina e noi che ci godiamo questo spettacolo. Non me la spiego, ma cerco di spiegarmela lo stesso. Nell’assurdità del reale forse la risposta è in quel karma magico, quello che ti fa capire che le cose da soli sono fighissime, ma poterle condividere con qualcuno sono la vera essenza.

Prato nevoso

Video disponibile online:

Sguardi stupiti

Volevo condividere un gesto. Un gesto che mi è stato insegnato fin da piccola, perché all’epoca l’educazione era l’unico obiettivo da perseguire per ogni genitore che volesse essere considerato tale.

Volevo condividere l’amarezza nel ricordo del bel tempo passato, e mi spiego meglio.

Fin da piccola passavo i week end di riposo dei miei genitori facendo escursionismo o trekking e nei lunghi cammini che facevamo non mi è mai passato per la mente di non salutare chi incontravamo sul nostro percorso. Ore e ore di camminata e sento ancora la voce di mia mamma che mi rimprovera se per il fiato corto non saluto un passante. Da camperisti ci si saluta con un colpo di clacson, in montagna invece basta un ciao. Ho imparato così a dire ciao in 7 lingue diverse già a 10 anni: italiano,francese, austriaco, spagnolo, inglese, portoghese e tedesco.

Ho imparato fin da piccola che quel gesto era la vera differenza dalla vita quotidiana, talmente distaccata da tutto da non vedere nemmeno l’essere umano che abbiamo di fronte.

Un anziano signore incontrato sul Rocciamelone l’anno scorso sosteneva che in montagna le persone sono tutte un po’ più buone. E io vorrei che questa cosa non si perdesse, perché in fondo è una lezione morale che dovremmo seguire tutti. Essere un po’ più buoni. Essere un po’ più presenti. Uscire da quella bolla individuale e guardare in faccia la persona che ci passa davanti, magari aiutarla, condividere un pezzo di cioccolato se non sta bene.

E invece mi rendo conto di quanto il salutare e magari il conoscere l’escursionista che ti cammina di fianco sia solo più un vecchio retaggio. Forse quell’anziano signore doveva dire “le persone in montagna una volta erano tutte un po’ più buone”.

O forse potremmo cominciare a dire un semplice ciao e guardarci in faccia, conoscere le storie invece che fare le storie su Instagram. Io ci provo, un saluto alla volta, leggendo lo sguardo stupito di chi lo riceve.