Massa del Turlo

Quante volte è successo di ricordare un luogo associandolo non solamente alle bellezze paesaggistiche o architettoniche, ma anche alle emozioni vissute trascorrendo momenti particolari…Esistono luoghi che più di altri sono in grado di risvegliare in noi suggestioni, ricordi, lacrime, o meglio ancora sorrisi.

DSC_0163Il luogo di cui vi parlerò oggi, per me, rappresenta uno di questi…un luogo dal sapore d’autunno. Che fa rivivere e sentire addosso il dolce tepore del sole di ottobre e risplendere negli occhi i colori caldi ed avvolgenti delle foglie dei faggi. Un luogo che sa di piacevoli camminate all’aperto attraverso prati e boschi. Un luogo che risveglia il dolce sapore delle risate in compagnia attorno allo scoppiettare di un fuoco, magari accompagnate da un buon bicchiere di vino rosso. Un luogo che ha il sapore dell’amicizia. Quella vera. Genuina come le persone di montagna.

Il luogo di cui vi vorrei parlare oggi è la Massa del Turlo.

La via di salita più seguita per questa montagna inizia dalla località Barattina, una frazione di Varallo Sesia. L’itinerario è piuttosto lungo e per questo motivo sovente si sceglie di salire in auto lungo la carrozzabile che conduce all’Alpe Piane. Quì si prende il sentiero che sale alla vicina chiesetta, sorpassa a monte il Rifugio Camosci, attraversa un ampio alpeggio e superando una prima faggeta raggiunge la Sella di Vaneccio. proseguendo lungo l’ampia dorsale il bosco si fa via via più rado si perviene prima alla Bocchetta Schillottà e successivamente, tagliando in diagonale un tratto di cresta rocciosa, si raggiunge la cima di Ventolaro.

DSC_0149Continuando lungo la cresta si guadagna facilmente un’anticima, quindi la Bocchetta del Sonato ed infine la cima della Massa del Turlo dominata da una enorme croce in ferro. Dalla vetta si gode di un meraviglioso panorama su gran parte dell’arco alpino occidentale, sui laghi d’Orta e Maggiore e su numerosi paesi della Val Strona e Val Sesia.

Nota:
Poco al di sotto della cime si stacca un itinerario molto interessante, ma altrettanto impegnativo, che conduce alla vetta del Monte Capio.

L’itinerario di discesa ricalca fedelmente quello seguito all’andata ed in circa un’ora riconduce nuovamente all’Alpe Piane.

L’escursione di per se non presente alcuna difficoltà eccessiva, inoltre il dislivello modesto la rendono accessibile ed adatta a tutti.

Questo luogo è per me così caro perché penso rappresenti molto bene lo spirito con cui vivo la Montagna. Perché montagna non è necessariamente sinonimo di dislivelli a 3 cifre, scalate oltre il sesto grado o traversate su ghiacci perenni a temperature polari.

Montagna è anche e soprattutto sinonimo di amicizia, allegria, attimi felici condivisi insieme alle persone a cui vogliamo più bene.

Attimi e persone che lasceranno un ricordo indelebile e contribuiranno a dare quel sapore speciale a quei luoghi che hanno fatto da contorno a tutto questo…DSC_0194.jpg

Consigli tecnici:

Nonostante l’itinerario percorso non presenti particolari difficoltà, consiglio di non percorrerlo durante i mesi invernali soprattutto in caso di innevamento abbondante.

Segnavia: 620
Partenza: Alpe Piane di Cervarolo 1222 m
Arrivo: Massa del Turlo 1959 m
Dislivello: 737 m


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Monte Ventolaro e Montagna Forata

Era una fredda domenica di marzo. Una domenica uggiosa, dai tratti più autunnali che primaverili. Una di quelle domeniche in cui, ovviamente, è difficile trovare qualcuno che, nonostante il brutto tempo, abbia voglia di uscire di casa per andare a fare quattro passi in montagna, ma nonostante questo, il richiamo delle montagne, la voglia di uscire a respirare aria pulita sono stati più forti.

Più forti della pigrizia.

Più forti del brutto tempo.

Più forti della solitudine.

Così uscii di casa di buon ora con l’intento di salire il Monte Ventolaro, montagna su cui non ero mai stato.

Foto 17-03-19, 12 42 21

Lasciata l’auto nel parcheggio a fianco al Municipio di Scopa, in Valsesia, ho imboccato il sentiero sul lato opposto della strada inoltrandomi in un fitto bosco di faggi e castagni. Immediatamente dopo aver mosso i primi passi mi rendo conto di non essere solo. Ho la fortuna di poter osservare diversi animali selvatici scesi in cerca di cibo accanto al sentiero che, seguendo la bella mulattiera, sbuca nei pressi dei verdi prati all’Alpe Pian del Sasso.

Entro nella radura antistante l’alpe.

Il silenzio è rotto solamente dal verso delle ghiandaie che, allarmate dal mio arrivo, fuggono all’interno del bosco. Il contrasto tra la nebbiolina al limitare della raduna ed il loro piumaggio colorato rende l’atmosfera ancor più suggestiva.

Foto 17-03-19, 11 50 53Oltrepassati i caseggiati dell’alpe, il sentiero si tuffa nuovamente tra le braccia degli alberi fino ad incontrare la strada poderale che collega tra loro diversi alpeggi costituiti da alcune baite recentemente ristrutturate. L’ultima in sequenza è l’Alpe Piana di Biagio, oltre la quale il sentiero rientra nuovamente nel bosco, sale deciso, supera i resti di alcune baite dismesse e porta ad accostarsi all’Alpe di Scotto situata poco al di sotto della bocchetta omonima. Dalla Bocchetta è possibile raggiungere, attraverso diversi itinerari, Boccioleto; una graziosa località in Val Sermenza che sorge all’ombra dell’omonima “Torre”; un monolito di solida roccia che può essere scalato seguendo diverse vie di arrampicata immersi in un ambiente unico e suggestivo.

Il mio itinerario prosegue, invece, verso sinistra, sulla cresta erbosa che conduce alla vetta del Monte Ventolaro. Cima che ha la particolarità di essere formata da tre vette distinte da cui (con il bel tempo) è possibile osservare il panorama sia verso la Valsesia che la Val Sermenza. Oltre la vetta il sentiero degrada in basso in direzione della Cima delle Balme e si collega con i sentieri che giungono dalle vicine località Valsesiane: Scopello, Piode, Campertogno e Boccioleto.

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Decido di fermarmi qualche istante per godermi la vetta.

Inizia a scendere una leggera pioggia.

Le nuvole basse nascondo il panorama circostante.

Mi rendo conto che tutto ciò mi sta regalando un senso di pace pazzesco.

Tutto sembra immobile.

Apparentemente.

In realtà i pensieri corrono veloci trovando il giusto spazio all’interno della mia mente. Quello che agli occhi può sembrare un ambiente ostile ha saputo regalarmi attimi molto intensi.

La prima sensazione di freddo mi risveglia da questo stato di “torpore” e mi riporta velocemente alla realtà. Inizio a muovermi seguendo il percorso seguito all’andata, ma lungo il cammino decido di effettuare una deviazione: poco al di sotto della cima si stacca dall’itinerario principale il sentiero 226e che conduce in circa mezz’ora alla suggestiva cima della Montagna Forata. Il sentiero si svolge su tracce e nei pressi della parte finale, attraverso un tratto esposto attrezzato con una catena, conduce ad una sorta di “finestra” naturale che ne costituisce la cima. La particolare forma ad arco della roccia ha alimentato una leggenda locale secondo la quale questa sia opera del demonio che l’avrebbe urtata con le corna mentre trasportava all’inferno l’anima di un’alpigiana sorpresa in un giorno festivo a rubare del fieno.

Mi rendo conto di essermi trattenuto troppo a lungo e che il meteo non accenna a migliorare, così, seguendo a ritroso il sentiero ritorno sulla cresta erbosa del Ventolaro e velocemente ridiscendo seguendo l’itinerario percorso all’andata.

Dopo circa un’ora e mezza di cammino sono nuovamente al parcheggio dove ho lasciato l’auto. La pioggia ha smesso di cadere e, nonostante le giornate siano ancora corte, le nuvole lasciano spazio a qualche timido raggio di sole.

Ancora una volta la montagna ha saputo regalarmi momenti unici ed indimenticabili. Ha permesso che la “sfidassi” in un giorno in cui sarebbe stato più semplice rimanere chiuso in casa prigioniero dei miei pensieri. Ha fatto si che fossi ammagliato dal suo fascino abbandonandomi completamente ad essa, ma al momento giusto ha anche saputo riportarmi alla realtà facendo in modo che tornassi al momento opportuno.

Consigli tecnici:

Consiglio di percorrere questo itinerario nel periodo tra da marzo/aprile ed ottobre/novembre (A seconda delle condizioni di innevamento). Tranne che per il tratto terminale che conduce alla Montagna Forata, il percorso non presenta difficoltà particolari. La salita alla Montagna Forata può essere evitata seguendo semplicemente l’itinerario principale contrassegnato dal segnavia 226. Per chi volesse compiere in discesa un percorso alternativo, dalla cima del Ventolaro è possibile scendere in direzione della vicina Cima delle Balme e seguendo i sentieri 231 e 226b ritornare a Scopa compiendo un giro ad anello che attraversa anche la graziosa Frazione di Frasso.

Segnavia: 226 e 226e per la salita alla Montagna Forata
Partenza: Scopa 622 m
Arrivo: Monte Ventolaro 1836 m
Dislivello: 1214 m

 

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Pizzo Tracciora

La salita al Pizzo Tracciora da Rossa rappresenta uno dei grandi classici delle escursioni Valsesiane. Difficilmente troverete qualcuno in Valsesia che non vi è mai salito o non lo conosce, ma ciò non vuol dire che questa montagna non debba essere considerata meno di altre. La posizione centrale offre la possibilità di godere di bellissime vedute a 360 gradi, inoltre la cima può essere considerata come punto di partenza per effettuare diverse traversate verso la Val Cavaione oppure verso Cervatto in Val Mastallone. Infine, altro particolare non trascurabile, le sue forme arrotondate lo rendono adatto ad escursioni sci-alpinistiche durante l’inverno. Insomma, se volete vivere la montagna 365 giorni l’anno non dovrete far altro che salire al Pizzo Tracciora!

IMG_2738L’itinerario inizia dal grazioso paese di Rossa, dove, lasciata l’auto nel parcheggio adiacente la piccola piazza, si può imboccare il ripido sentiero che in breve porta alla località Vaz. Oltrepassato il bivio nei pressi della suddetta località, il percorso, attraverso prati ed orti coltivati, conduce alla frazione Piana caratterizzata dalla presenza di due chiesette. Superato il piccolo abitato, la mulattiera prosegue inoltrandosi all’interno di un rigoglioso bosco di faggi oltre il quale, si giungerà all’Alpe Campello. Luogo in cui vi consiglio di fermarvi per una sosta ed ammirare la grandiosa vista sul Massiccio del Monte Rosa che si aprirà davanti ai vostri occhi. Dall’Alpe Campello il percorso si inoltra nuovamente all’interno di un bosco molto rigoglioso per poi sbucare nei pressi dei pascoli tra le Alpi Prato Bianco di Sotto e Prato Bianco di Sopra. Questi luoghi devono i loro nomi alle splendide fioriture di flora alpina che ricoprono i prati durante la stagione primaverile, ma quest’anno la primavera ha deciso di presentarsi sotto una veste inusuale quindi l’unico colore bianco che abbiamo potuto ammirare è stato quello dovuto dal nevischio sceso dal cielo! Nei pressi dell’Alpe Prato Bianco di Sopra si collega l’itinerario 405 che sale dalla Fazione Folecchio di Rossa e rappresenta una variante a questa che è la classica via di salita oppure, un’alternativa per la discesa per chi non volesse ripercorrere il medesimo itinerario seguito in salita. Per chi decidesse di seguire il sentiero 405 in discesa, considerate che una volta arrivati a Folecchio per tornare al parcheggio dovrete percorrere un tratto in salita su strada asfaltata.

IMG_2739Oltrepassato il bivio con il sentiero 405 il percorso prosegue con pendenze via via più attenuate, si supera dunque un secondo bivio che incrocia il sentiero proveniente dalla Val Mastallone e si giunge finalmente in vetta. La Cima è caratterizzata dalla classica croce di vetta accanto alla quale è stato posto un tavolo in pietra, così, nelle giornate più limpide potrete ammirare il panorama standovene comodamente seduti mentre vi gusterete i panini portati nello zaino coccolati dai tiepidi raggi del sole.

Gambe distese.

Mani incrociate dietro alla nuca.

Le montagne davanti a voi.

E un senso di pace e serenità impagabili.

Si tratta di uno di quei luoghi da cui non si vorrebbe più andar via, ma fidatevi, la discesa vi offrirà qualcosa di ancor più prezioso.

Ripercorrendo a ritroso il percorso seguito in salita giungerete nuovamente all’abitato della Frazione Piana, seguite quindi il sentiero 403 che vi condurrà, prima attraverso un bosco e poi attraverso verdi prati, alla Frazione Rainero. Oltrepassati alcuni orti e le prime case dell’abitato giungerete all’Azienda Agricola Rainero.

Ed è qui che entrerete all’interno di un mondo incantato, in una favola.

Sì, perché le emozioni che proverete in questo luogo difficilmente riuscirete a provarle altrove. Merito di Michela e Claudio, i proprietari. Merito del luogo. Merito di Henry, il loro Labrador. Insomma, merito di un mix “letale” di luoghi, persone ed emozioni. O meglio: un mix di persone speciali che hanno deciso di vivere in un luoghi speciali e che insieme trasmettono emozioni speciali. Non vi dico altro perché vorrei far nascere in ognuno di voi che leggerà la curiosità di recarsi in questo luogo per toccare con mano quanto ho vissuto io di persona.

Ne varrà la pena.

Davvero.

Da Rainero, per tornare al punto di partenza, non dovrete far altro che seguire il comodo sentiero lastricato che scendendo dolcemente si ricongiunge, poco sopra l’abitato di Rossa, con l’itinerario 400 seguito all’andata.

Consigli tecnici:

Il percorso non presenta particolari difficoltà. Durante la stagione invernale prestare attenzione alle condizioni dell’innevamento. Soprattutto nel tratto successivo all’Alpe Campello.

Segnavia: 400
Partenza: Rossa 813 m
Arrivo: Pizzo Tracciora 1917 m
Dislivello: 1104 m

 

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Una vita in ferie

Ferie a Marzo e dove vado? Ancona!
Si, anch’io ero un po’ perplessa prima di essere travolta dalle meraviglie della regione, e devo ammettere che mi sono positivamente stupita per quanto le Marche abbiano da offrire.

Il patrimonio naturalistico marchigiano è imponente: quasi 90.000 ettari del territorio sono ricoperti da due parchi nazionali (Monti Sibillini e Gran Sasso e Monti della Laga), quattro parchi regionali (Monte ConeroSasso Simone e SimoncelloMonte San Bartolo e Gola della Rossa e di Frasassi) e sei riserve naturali (Abbadia di FiastraMontagna di TorricchioRipa BiancaSentinaGola del Furlo e Monte San Vicino e Monte Canfaito).

Avendo una settimana di tempo da condividere con il mio marchigiano, le attivita’ sono veramente innumerevoli:
– Montefeltro a cavallo
– Parco del Conero con Maia e la vista immensa della natura montuosa a ridosso del mare
– trekking sul Gran sasso
– trekking Monti Sibillini

… l’idea e’ quella di condividere la bellezza del nostro territorio italiano che non ha nulla da invidiare a quello straniero, di valorizzare i piccoli comuni che gia’ si sono mossi in questo senso, offrendo strutture idonee e organizzando eventi per i turisti che vogliono conoscere questo spicchio d’Italia. La proposta e’ quella di riprendere in mano cio’ che e’ nostro con il mezzo del territorio e il fine della meraviglia (Manzoni 200 anni fa diceva ” la poesia e la letteratura in genere deve proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo).

Vi aggiorno presto!!

 

 

Mi capita che

Come cambia il mondo. Sono andata fino in Islanda e non ho visto nemmeno una parvenza di striscia verde nel cielo. L’aurora la si vede solo d’inverno. Poi in una giornata che poteva essere perfetta semplicemente già così com’era ecco che il mondo ti stupisce. L’hanno ufficialmente chiamata “l’aurora boreale del Piemonte”. E io mi ricorderò sempre mia sorella che me la indica, io che accosto la macchina e noi che ci godiamo questo spettacolo. Non me la spiego, ma cerco di spiegarmela lo stesso. Nell’assurdità del reale forse la risposta è in quel karma magico, quello che ti fa capire che le cose da soli sono fighissime, ma poterle condividere con qualcuno sono la vera essenza.

Prato nevoso

Video disponibile online:

Mollare o non mollare, spaghetti o non spaghetti

Premessa: sto scrivendo questo post dal caldo lettuccio, con due cuscini sofficissimi dietro la schiena, uno ancora piu’ soffice dietro il collo e la possibilita’ di alzare le mani fino al massimo alla tastiera del pc. Anzi, a dirla tutta mi sto pure sforzando a scrivere.
Non sono stata investita e non sono ingessata fino al collo, ma la sensazione e’ piu’ o meno quella.

Premessa due: non usero’ mai piu’ lo snowboard se non in condizioni super ottimali.
E adesso vi spiego la giornatina di ieri.

Partenza h8.00 da Torino decidiamo di andare a sciare a Prali. In macchina ho i miei fidi sci da alpinismo (non vi mollero’ mai piu’ lo giuro) e una tavola da snow (quella del mio compagno d’avventura). Arrivati a Prali le condizioni non sono esattamente quello che ci aspettavamo tanto che alla biglietteria ci avvertono che potrebbero chiudere gli impianti a breve a causa delle raffiche che si stavano creando. Decidiamo di salire lo stesso, non ci siamo fatti un’ora e mezza di macchina per niente. Saliamo sulla seggiovia e arriviamo alla Capannina, il primo rifugio di Prali. Entriamo dentro a fare colazione: panino al miele e amaro all’albicocca per me, un bicchiere di genepi e un croissant per il mio socio. Nel mentre aspettiamo l’altra ragazza che condividera’ con noi la giornata sulle piste.

Dopo la colazione super riscaldante siamo pronti per la prima discesa: a bomba, un po’ fuoripista e con le gambe che sento tutto il caldo dell’alcol appena bevuto (e di genepi ne aveva veramente tanto). Prendiamo nuovamente la seggiovia ed e’ in quel frangente che ho cominciato a delirare. Vista la pista molto battuta i miei sci da alpinismo non erano l’ideale, perche’ non prendere la tavola?

La rovina.

Scendo quindi alla biglietteria, prendo una bella tavola a noleggio (una bananona molto figa) e mi butto sulla seggiovia. Pensavo di essere una chiavica e invece devo dire che me la sono sentita veramente bene. Fino alle due. Poi, il degenero.

All’una e mezza siamo ritornati in baita per fare un boccone di pranzo e quando siamo uscita la mia tavola non era piu’ la stessa. Il freddo e il vento avevano creato una patina di ghiaccio sul fondo della mia tavola che abbiamo grattato via alla bene e meglio. La sento che fa quello che vuole lei invece che seguire il mio equilibrio (molto precario). Come sempre, sono l’unica disagiata ma per non far pesare la situazione cerco di scendere e curvare come se niente fosse. In un micro secondo mi parte la tavola, batto una facciata sulla neve dura, il polso si gira male, la spalla di conseguenza, la mascherina sbatte contro il mio zigomo e sento solo gli occhi chiudersi e la testa che pensa “non ti sei fatta niente, non e’ assolutamente niente”. Mi giro a faccia in su peggio di una tartaruga dopo una sbronza colossale e vedo il sole. Con una raffica di vento, ma vedo il sole. I miei compagni di avventura vedono la caduta e tra un misto di preoccupazione e risata mi aiutano ad alzarmi. Quella e’ stata la discesa piu’ lunga mai fatta, la voglia di togliere la tavola e riabbracciare i miei amati sci.

Ma che cosa ho imparato? Che cosa voglio veramente condividere con voi?
Forse che se non provi fino in fondo non puoi dire che una cosa non ti piaccia. O forse che ci si imbatte nel proprio destino sulla strada presa per evitarlo.

Sguardi stupiti

Volevo condividere un gesto. Un gesto che mi è stato insegnato fin da piccola, perché all’epoca l’educazione era l’unico obiettivo da perseguire per ogni genitore che volesse essere considerato tale.

Volevo condividere l’amarezza nel ricordo del bel tempo passato, e mi spiego meglio.

Fin da piccola passavo i week end di riposo dei miei genitori facendo escursionismo o trekking e nei lunghi cammini che facevamo non mi è mai passato per la mente di non salutare chi incontravamo sul nostro percorso. Ore e ore di camminata e sento ancora la voce di mia mamma che mi rimprovera se per il fiato corto non saluto un passante. Da camperisti ci si saluta con un colpo di clacson, in montagna invece basta un ciao. Ho imparato così a dire ciao in 7 lingue diverse già a 10 anni: italiano,francese, austriaco, spagnolo, inglese, portoghese e tedesco.

Ho imparato fin da piccola che quel gesto era la vera differenza dalla vita quotidiana, talmente distaccata da tutto da non vedere nemmeno l’essere umano che abbiamo di fronte.

Un anziano signore incontrato sul Rocciamelone l’anno scorso sosteneva che in montagna le persone sono tutte un po’ più buone. E io vorrei che questa cosa non si perdesse, perché in fondo è una lezione morale che dovremmo seguire tutti. Essere un po’ più buoni. Essere un po’ più presenti. Uscire da quella bolla individuale e guardare in faccia la persona che ci passa davanti, magari aiutarla, condividere un pezzo di cioccolato se non sta bene.

E invece mi rendo conto di quanto il salutare e magari il conoscere l’escursionista che ti cammina di fianco sia solo più un vecchio retaggio. Forse quell’anziano signore doveva dire “le persone in montagna una volta erano tutte un po’ più buone”.

O forse potremmo cominciare a dire un semplice ciao e guardarci in faccia, conoscere le storie invece che fare le storie su Instagram. Io ci provo, un saluto alla volta, leggendo lo sguardo stupito di chi lo riceve.

Pronti, partenza…2018 via!

Ma che belle le ferie natalizie, tante sciate, ciaspolate, alcol in baita….ah no, quello forse l’hanno fatto gli altri. Ho abbracciato l’inizio di questo stupendo 2018 con 39.7 di febbre, un raffreddore da meritarmi una fornitura di fazzolettini a vita e la coperta in pile a scaldare le giornate passate a letto. Il programma fino al 29 di Dicembre era un po’ diverso, ma sono sicura che questo trattenermi e’ stato solo per poter iniziare l’anno nuovo con un pieno di energie non indifferente.

E cosi’ siamo al 4 di gennaio e mi trovo a fare i conti con l’anno appena chiuso e quello nuovo da pianificare. Ok, forse dovevo pensarci prima ma avete presente la febbre? Ecco, sono solo riuscita a dormire per 4 lunghissimi giorni, non ho avuto il tempo di scrivere.

Dicevamo: fare i conti con l’anno chiuso vuol dire fare i conti con quello che mi sono prefissata e NON ho portato a termine e che indubbiamente mi porto sul 2018. In primis mi porto dietro il cambio di rotta del blog, la progettualita’ che ha portato a questa decisione. Mi porto dietro, infatti, il proggeto ambizioso costruito con una persona, che purtroppo non riuscira’ piu’ ad accompagnarmi, e che era pensato in almeno due anni: FARE TUTTI I 3000 DELLA REGIONE.

Mi porto dietro la carrellata di foto scattate male perche’ sul 2018 voglio fare ancora meglio.

Mi porto dietro un progetto personale che mi ero lanciata con il mio “Grande Maestro d’arrampicata”, nonche’ “Maestro di sbronza a Birra”, nonche’ “Maestro delle massime” e non per ultimo “Maestro in stile di vita”. Nel 2017 ho lavorato duramente per poter chiudere un 6a in falesia, vanificando poi tutto il lavoro fatto in soli due mesi di fermo. Nel 2018 punto quindi a ritornare in falesia, chiudere un po’ di 6a e puntare a una via lunga.

Chiudo il 2017 con la convinzione di poter fare decisamente meglio nel 2018, concentrandomi ancora di piu’ su quello che voglio diventare, essere e fare. Ecco, magari quest’anno potrei capire veramente che cosa voglio fare da grande…o magari questo lo posso lasciare al prossimo anno.

Riprendo il 2018 con la scrittura, ma soprattutto vorrei finire il libro che mi porto avanti da gennaio 2017 su cui ho meditato per 12 mesi no stop.

Si riparte quindi e intanto da gennaio e ci tengo a stottolineare alla stragrande… perche’ si riparte con le FERIE! (Quelle per andare a sciare ovviamente).

Stay tuned per sapere che gran figata di settimana ho progettato 🙂 (a brevissimo, lo giuro, nel prossimo post).

Giulia.

PS: Auguro a tutti di affrontare il 2018 con la sua stessa determinazione davanti alla sfiga!

 

 

RIFUGIO FONTANA MURA

Primo week end di riposo post neve:
– sole  √
– buona compagnia  √
– tisana calda   √
– sci nuovi   √( aggiungerei A BOMBA)

Partendo da Torino e’ facilmente raggiungibile in 45 minuti di macchina, senza dover prendere l’autostrada o dover andare in Val Susa. La meta e’ molto conosciuta, appena arrivati c’erano una trentina di ciaspolatori ( Adventure Wildlife ) che si stavano incammincando per l’ascesa al rifugio.

Sci nei piedi, partiamo per questa prima avventura con le pelli del 2017. Sci nuovi da testare e tanta voglia di neve fresca ci hanno accompagnati per tutto il percorso. L’itinerario si articola su una prima parte poco esposta e percorribile solo attraverso una stradina in mezzo agli alberi. Dopo 45 minuti di cammino si apre davanti a noi un panettone che per gli amanti dello skialp e’ come il dolce che tanto si aspetta e che sembra non arrivare mai. Credo ci siano poche cose cosi’ belle come il tracciare la propria strada. Avere una distesa di neve ed essere noi gli artefici di quell’unico percorso. In fondo, credo sia una bella metafora per la vita di tutti i giorni: non importa come, dove e quando, l’importante e’ fare il proprio percorso ed essere consapevoli di dove si vuole arrivare. Ogni tanto bisogna magari attraversare un piccolo corso d’acqua, una difficolta’ imprevista, ma se guardi in alto e vai avanti arrivi sempre all’obiettivo che ti eri prefissato.

Cosi’ arriviamo al rifugio dopo aver tagliato e tracciato il nostro percorso e ci sediamo sulla panchina in legno esterna. Il vento tagliente, i mulini di neve che giocano sulle curve, il sole che si nasconde. La pace e’ stato proprio arrivare a quel momento, sedersi davanti a quei colori e lasciare che la natura giocasse davanti a noi.