Un CALENDARIO LETTERARIO per festeggiare il compleanno di scrittrici e scrittori.
Di base ho pensato a questa rubrica per curiosità personale: ci saranno dei collegamenti tra i mesi di nascita degli scrittori e le loro opere? Esistono scrittori “dannati” che appartengono principalmente ad un mese o segno zodiacale piuttosto che ad un altro?
Prima di vedere nello specifico i due segni di gennaio, ripassiamo in sintesi il “calendario” dello Zodiaco a seconda del giorno e del mese. Il segno zodiacale principale di ognuno è quello che si trovava nella posizione del Sole al momento della propria nascita. Il Sole, infatti, secondo astrologia e oroscopo, determina il tuo io più profondo, la tua identità ed è l’essenza di chi sei veramente.
Ariete: 21 marzo – 20 aprile Toro: 21 aprile – 20 maggio Gemelli: 21 maggio – 21 giugno Cancro: 22 giugno – 22 luglio Leone: 23 luglio – 23 agosto Vergine: 23 agosto – 22 settembre Bilancia: 23 settembre – 22 ottobre Sagittario: 23 novembre – 21 dicembre Capricorno: 22 dicembre – 20 gennaio Acquario: 21 gennaio – 19 febbraio Pesci: 20 febbraio – 20 marzo
Il segno zodiacale del Capricorno
Un nativo del Capricorno non si dà mai per vinto e si applica giorno dopo giorno per raggiungere i suoi obiettivi. Nei confronti degli altri, è inizialmente chiuso e riservato. Non è facile entrare nel suo cerchio d’amicizie perché tende a mostrare una facciata distaccata. Tuttavia, una volta conquistata la sua fiducia si rivela un amico affettuoso e leale.
D’altra parte, però, come tutti i segni di Terra rischia di essere troppo materialista e testardo. Come succede per il Toro ma anche per il Leone e il Sagittario, fargli cambiare idea è un vera impresa. Inoltre, l’estrema riservatezza lo porta spesso a chiudersi in modo eccessivo al mondo esterno e di presentare un certo pessimismo che lo può allontanare dalle altre persone.
Il segno zodiacale dell’Acquario
Gli Acquario sono un concentrato di idee e di originalità. Infatti, sono noti per la loro intelligenza e immaginazione, oltre a essere degli avanguardisti per eccellenza. Detestano conformarsi alla normalità e alle mode, perché preferiscono anticiparle o inventarne delle nuove. Sono idealisti, curiosi e attratti da tutto ciò che è nuovo, per questo amano viaggiare e scoprire.
L’innata libertà che lo contraddistingue lo porta a essere intollerante nei confronti dei legami troppo opprimenti o stretti, ma, da parte sua, è il primo a essere molto geloso verso il partner. Inoltre, risultano essere permalosi proprio come i Gemelli, e anche irascibili nei momenti di collera.
Lessico famigliare è il libro di Natalia Ginzburg che ha avuto maggiori e piú duraturi riflessi nella critica e nei lettori. La chiave di questo straordinario romanzo è delineata già nel titolo.
Famigliare, perché racconta la la storia di una famiglia ebraica e antifascista, i Levi, a Torino tra gli anni Trenta e i Cinquanta del Novecento. E Lessico perché le strade della memoria passano attraverso il ricordo di frasi, modi di dire, espressioni gergali. Scrive la Ginzburg: «Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido cloridrico”, per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole».
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Autobiografia, più che della sua vita, della vita della sua famiglia durante i difficili anni del Fascismo e dell’immediato dopoguerra.
Era da tempo che non leggevo un romanzo tanto coinvolgente. Per quanto siano state parecchie le letture interessanti fatte quest’anno, infatti, LESSICO FAMIGLIARE si differenzia da ciascuna di esse perché riesce a travolgere il lettore completamente, impedendogli di staccarsi. Una vicenda famigliare che fa da precursore allo stile dei memoire che ancora oggi amiamo tanto leggere. Intelligente, incalzante, ironico.
Insomma, uno di quei libri che non possono mancare nella vostra libreria mentale 🙂
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Scrittrice italiana. Ha pubblicato i suoi primi racconti nel 1933 su «Solaria». Nel 1938 ha sposato Leone Ginzburg, e con lui e con i figli ha patito il confino per antifascismo dal 1940 al 1943. Nel 1950 ha sposato in seconde nozze lo scrittore Gabriele Baldini.
Ha vissuto a lungo a Torino, ed è stata redattrice della Casa editrice Einaudi. I suoi libri di narrativa (“La strada che va in città”, 1942; “È stato così”, 1947; “Tutti i nostri ieri”, 1952; “Valentino”, 1957, premio Viareggio; “Le voci della sera”, 1961; “Caro Michele”, 1973; “La città e la casa”, 1984), di memorie (“Lessico famigliare”, 1963, premio Strega), di saggi (“Le piccole virtù”, 1962; “Mai devi domandarmi”, 1970; “Vita immaginaria”, 1974; “La famiglia Manzoni”, 1983) sono caratterizzati da una scrittura nitida e sommessa e da un sottile impasto tonale che va dall’ironia alla saggezza, adatto a cogliere i piccoli gesti esemplari della vita quotidiana. Più direttamente impegnato il testo “Serena Cruz o la vera giustizia”, 1990, pamphlet sul problema dell’adozione.
Nel suo teatro (raccolto nei volumi “Ti ho sposato per allegria e altre commedie”, 1967, e “Paese di mare”, 1973; cui sono seguiti “La poltrona”, 1985, e “L’interventista”, 1988) i temi e le propensioni stilistiche della G. tornano in un gioco dialogico di precisa e quasi astratta eleganza. Nel 1983 Natalia viene eletta in Parlamento nelle liste del Partito Comunista Italiano, come indipendente, dove si impegna, animata da grande senso di giustizia e passione in cause umanitarie importanti.
Muore nell’ottobre del 1991, nella sua casa romana. Qualche anno prima, in un articolo, aveva scritto:
“…pensiamo che la morte darà riposo. Immaginiamo allora la morte come un piccolo paese, o come una piccola casa, o una stanza. Qui abiteremo per sempre, con tutte le persone che abbiamo amato. Delle diverse idee che abbiamo sulla morte, questa è l’idea che più di tutte ci è cara. Il vero riposo è stare sempre con le persone amate. E perché non potrebbe essere così la morte? Chi l’ha detto che non sarà così?”
Pubblicato per la prima volta nel 1965 – è stato per parecchio tempo uno dei grandi romanzi dimenticati della letteratura americana. John Williams racconta la vita di un uomo, Stoner appunto, che, nato in una famiglia di contadini poveri, finisce per scoprire dentro di sé una passione struggente per la letteratura e diventa professore. È la storia di un uomo che conduce una vita semplice al limite della frugalità. Una vita che lascia poche tracce. Ma Stoner è molto molto di più: è un romanzo sull’amicizia, sul matrimonio, un romanzo di ambiente universitario, un romanzo sociale e – last but not least – un romanzo sulla fatica. Sul duro, implacabile lavoro nelle fattorie, sull’impegno che richiede la vita matrimoniale, sulla difficoltà di allevare con paziente empatia una figlia all’interno di una famiglia avvelenata, e sul tentativo di avvicinare alle meraviglie della letteratura studenti universitari spesso insensibili. Ma, al fondo, Stoner è soprattutto un romanzo sull’amore: sull’amore per la poesia, per la letteratura e anche sull’amore romantico. È un romanzo su cosa significa essere umani. Alla luce di questa centralità dell’amore per la letteratura e per la poesia, abbiamo pensato di pubblicare in questo volume, insieme al romanzo, una raccolta di poesie di John Williams, inedita in Italia, dal titolo La necessaria menzogna, uscita nello stesso anno in cui venne pubblicato Stoner e quindi vicinissima ai temi che più stavano a cuore a Williams in quel periodo. In questo modo vogliamo offrire ai tantissimi lettori innamorati di quel romanzo un elemento ulteriore, sconosciuto, inedito, che è in grado di articolare e approfondire meglio proprio quel “Mistero della Mente e del Cuore” di cui scriveva John Williams
Un ragazzo di quindici anni, maturo e determinato come un adulto, e un vecchio con l’ingenuità e il candore di un bambino, si allontanano dallo stesso quartiere di Tokyo diretti allo stesso luogo, Takamatsu, nel Sud del Giappone. Il ragazzo, che ha scelto come pseudonimo Kafka, è in fuga dal padre, uno scultore geniale e satanico, e dalla sua profezia, che riecheggia quella di Edipo. Il vecchio, Nakata, fugge invece dalla scena di un delitto sconvolgente nel quale è stato coinvolto contro la sua volontà. Abbandonata la sua vita tranquilla e fantastica, fatta di piccole abitudini quotidiane e rallegrata da animate conversazioni con i gatti, dei quali parla e capisce la lingua, parte per il Sud. Nel corso del viaggio, Nakata scopre di essere chiamato a svolgere un compito, anche a prezzo della propria vita. Seguendo percorsi paralleli, che non tarderanno a sovrapporsi, il vecchio e il ragazzo avanzano nella nebbia dell’incomprensibile schivando numerosi ostacoli, ognuno proteso verso un obiettivo che ignora ma che rappresenterà il compimento del proprio destino. Diversi personaggi affiancano i due protagonisti: Hoshino, un giovane camionista di irresistibile simpatia; l’affascinante signora Saeki, ferma nel ricordo di un passato lontano; Òshima, l’androgino custode di una biblioteca; una splendida prostituta che fa sesso citando Hegel; e poi i gatti, che sovente rubano la scena agli umani. E infine Kafka. “Uno spirito solitario che vaga lungo la riva dell’assurdo”.
La storia di due ragazzi, Ari e Dante, che devono imparare a credere l’uno nell’altro e nel loro legame, se vogliono diventare adulti. In una narrazione che arriva dritto al cuore, Benjamin Alire Sáenz cattura quei momenti che fanno di un ragazzo un uomo, mentre esplora temi come la lealtà e la fiducia, l’amicizia e l’amore.
«La cartolina è arrivata nella nostra cassetta delle lettere insieme ai consueti biglietti di auguri natalizi. Non era firmata, l’autore aveva voluto restare anonimo. Da un lato c’era l’Opéra Garnier, dall’altro i nomi dei nonni e degli zii di mia madre morti ad Auschwitz nel 1942. Vent’anni dopo mi sono messa in testa di scoprire chi l’avesse mandata esplorando tutte le ipotesi che mi si aprivano davanti. Questo libro mi ha riportata cent’anni indietro. Ho ripercorso il destino romanzesco dei Rabinovitch, la loro fuga dalla Russia, il viaggio in Lettonia e poi in Palestina, e alla fine il loro arrivo a Parigi, con la guerra e i suoi drammi. Ho cercato di capire perché mia nonna Myriam sia stata l’unica a sfuggire alla deportazione e di chiarire i misteri di cui erano circondati i suoi due matrimoni. Il romanzo dei miei progenitori è anche una ricerca iniziatica sul significato della parola “ebreo” in una vita laica.» (Anne Berest)
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New York, anni cinquanta. Dopo la pubblicazione di un romanzo mendace e offensivo sulla sua vita, il ricchissimo finanziere Andrew Bevel, diventato milionario dopo alcune speculazioni seguite al crollo in Borsa del ’29, assume la giovane Ida Partenza, figlia di un anarchico italiano, perché lo aiuti a scrivere un’autobiografia in grado di raccontare finalmente la verità sui suoi successi e sulla sua defunta moglie, Mildred.
Ida intuisce presto che nemmeno dalla sua penna, strettamente controllata dal committente, uscirà il ritratto fedele di una donna complessa la cui reale personalità continua a sfuggirle, e la morte improvvisa di Bevel la costringe infine a lasciare incompleto il lavoro. Soltanto trent’anni dopo ha la possibilità di accedere agli archivi della Fondazione Bevel, dove trova finalmente il diario di Mildred, prezioso tassello mancante all’enigma che ha lasciato nella sua vita un’impronta indelebile. Quattro testi, quattro generi letterari, quattro voci, quattro punti di vista compongono un raffinato gioco di specchi in cui dietro le scelte di un leggendario uomo d’affari americano si intravede la figura polimorfa e affascinante di una moglie, artefice misconosciuta della sua fortuna.
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Diaz gioca con la struttura in una maniera che forse solo Inception ha saputo fare. Contiene 4 generi letterari diversi che si intrecciano come un grosso enigma che funziona alla perfezione.
Nonostante ci sia la mano invisibile della finanza che accompagna il vissuto dei coniugi Bevel per tutto il libro, il romanzo è godibilissimo. Intelligente, 400 pagine che esplorano l’ambizione umana che confina con l’autoinganno.
Consigliatissimo!
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Hernan Diaz è Managing Editor di “Revista Hispánica Moderna” (RHM), e direttore associato dell’Istituto ispanico presso la Columbia University. È l’autore di Borges, Between History and Eternity (Bloomsbury, 2012), e Il falco (Neri Pozza 2018), finalista al premio Pulitzer 2018.
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta.
Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. Donatella Di Pietrantonio conosce le parole per dirlo, e affronta il tema della maternità, della responsabilità e della cura, da una prospettiva originale e con una rara intensità espressiva. Le basta dare ascolto alla sua terra, a quell’Abruzzo poco conosciuto, ruvido e aspro, che improvvisamente si accende col riflesso del mare.
L’arminuta – la mia recensione
Stiamo parlando di un libro della durata di 4 ore e 46 minuti, eppure è una storia immensa.
” Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finché perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo piú da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.”
Ben scritto (in fondo ha vinto il premio Campiello 2017), una storia che per quanto sia angosciante e cruda ho amato fin da subito. In 150 pagine c’è tanto: maternità, abbandono, resilienza, povertà non edulcorata…insomma, una piccola chicca da leggere o da ascoltare!
Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Con L’Arminuta (Einaudi 2017, tradotto in piú di 25 paesi) ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Campiello, il Premio Napoli e il Premio Alassio. Per Einaudi ha pubblicato anche Bella mia (prima edizione Elliot 2014), con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati, Borgo Sud (2020) e Mia madre è un fiume (2022, prima edizione Elliot 2011) vincitore del Premio Tropea.
Ho pensato di iniziare questa rubrica perchè mi sono resa conto di voler approfondire la letteratura che sta alla base dei romanzi di oggi. Mi sono resa conto che oltre alle numerose nuove uscite poteva essere intelligente recuperare i libri che sono stati alla base di determinati movimenti, ideologie o semplicemente lo specchio di determinate epoche e contesti.
Tutto è partito da una prefazione: quella diUomini e Topi di John Steinbeck (vi lascio la recensione qui sotto se ancora non l’avete letta) da parte di Pavese.
Che cosa mi ha spinto a voler recuperare i grandi classici?
Direi che a muovere tutto è stato il mix tra curiosità e ignoranza provata di fronte alla lettura di un romanzo classico della letteratura americana.
Come si svolgerà la maratona classica?
Ogni mese affiancherò alle mie letture anche un titolo della letteratura classica, approfondendo il periodo in cui è stato scritto, la vita dell’autore e le varie ed eventuali che possono nascere quando si va ad approfondire una determinata tematica.
Se volete partecipare alle letture, vi consiglio di seguirmi su Instagram! Ogni mese condividerò la lettura che andrò (andremo) ad affrontare e se vi fa piacere potrete unirvi in questa impresa 🙂
L’idea è quella di spaziare il più possibile, rileggere i classici che abbiamo letto alle superiori e approfondire le letture per il piacere di farlo e di conoscere.
Questo mese parleremo di Lessico Famigliare, di Natalia Ginzburg.
Nel terzo intenso volume della saga Christelle Dabos ci fa esplorare la meravigliosa città di Babel. Nel cuore di Ofelia vive un segreto inafferrabile, chiave del passato e, nello stesso tempo, chiave di un futuro incerto.
Dopo due anni e sette mesi passati a mordere il freno su Anima, la sua arca, per Ofelia è finalmente arrivato il momento di agire, sfruttare quanto ha scoperto nel Libro di Faruk e saputo dai frammenti di informazioni divulgate da Dio. Con una falsa identità si reca su Babel, arca cosmopolita e gioiello di modernità. Basterà il suo talento di lettrice a sventare le trappole di avversari sempre più temibili? Ha ancora una minima possibilità di ritrovare le tracce di Thorn?
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Ho percepito quella tensione amorosa che strizza l’occhio a Jane Austen e che per anni mi ha fatto sognare da quel divanetto della mia camera da letto su cui leggevo spesso. Il terzo libro e una rampa di lancio verso il quarto, un pò romanzo rosa, un pò thriller, sicuramente molto fantasy; un mix che non vi annoierà fino alla fine!
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Cresciuta a Cannes in una famiglia di musicisti e artisti, scrive le prime storie all’università. Durante un periodo di convalescenza si unisce al Silver Plume, una comunità di scrittori su internet che la incoraggia a partecipare a un concorso organizzato da Gallimard Jeunesse. Nel 2013 ha vinto il Prix du Premier Roman Jeunesse Gallimard-RTL-Télérama per Fidanzati dell’inverno (E/O 2018). Nel 2016 i primi due libri della saga sono stati premiati con il Grand Prix de l’Imaginaire. Nel 2019 escono in Italia il secondo e il terzo volume della quadrilogia L’attraversaspecchi, rispettivamente Gli scomparsi di Chiaridiluna e La memoria di Babel (E/O). Nel 2020 esce l’ultimo volume Echi in tempesta (E/O)
Pubblicato nel 1937 negli Stati Uniti, apparso un anno dopo in Italia nella celebre traduzione di Cesare Pavese, Uomini e topiè un piccolo intenso dramma che colloca l’amara vicenda dei suoi protagonisti su uno sfondo di denuncia sociale.
Il romanzo affronta in chiave simbolica il problema dell’emigrazione contadina all’Ovest, terra di mancate promesse negli anni successivi alla Depressione: è la storia tragica e violenta di due braccianti che trovano lavoro in un ranch della California, il grande Lennie, gigante buono e irresponsabile, e il saggio George, guida e sostegno dell’amico nella vana resistenza alla difesa del mondo. Sfruttamento e lotte sociali, ingiustizia e sofferenza umana, tutti temi che verranno trattati con realismo aspro e risentito in Furore, sono qui espressi con una vena di lirica commozione e con quel vigore narrativo che fa di Steinbeck uno dei grandi autori americani.
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Piccola premessa: se solitamente non leggete le premesse dei libri e vi fiondate nel testo… beh, questa volta vi consiglio vivamente di leggerla perchè è qualcosa di stupendo.
Detto ciò, siamo di fronte a una breve lettura di grandissima intensità. Si assapora tutto di quell’America difficile che vive del piccolo grande sogno di cambiamento ma che sopravvive in un tempo e luogo disumanizzante.
È un viaggio polveroso all’inseguimento di quella fragile speranza che ogni uomo di quel tempo aveva: poter possedere un pezzo di terreno e poter vivere dei frutti del suo lavoro.
Una storia d’amicizia straziante, dal sapore dolce amaro, narrata con l’incredibile filtro della realtà che toglie ogni disincanto.
Un grande classico che non può mancare tra le letture di questa estate!
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Chi è John Steinbeck
John Ernest Steinbeck, Jr. (Salinas, 27 febbraio 1902 – New York, 20 dicembre 1968) è stato uno scrittore statunitense tra i più noti del XX secolo, autore di numerosi romanzi, racconti e novelle. Fu per un breve periodo giornalista e cronista di guerra nella seconda guerra mondiale.
Nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per la letteratura con la seguente motivazione: “Per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”. Considerato uno dei principali esponenti della cosiddetta “Generazione perduta”, ha ricevuto anche la Medaglia presidenziale della libertà dal Presidente Lyndon B. Johnson il 14 settembre 1964.
Autore di numerosi romanzi e racconti, genio letterario del ventesimo secolo, è uno dei massimi esponenti della letteratura americana e della cosiddetta “Generazione perduta”. Dopo aver frequentato la Stanford University senza mai laurearsi, comparve sulla scena letteraria con opere minori finché non raggiunse la notorietà con Pian della Tortilla (1935) a cui seguirono molti romanzi, racconti e saggi tra cui Uomini e topi, La lunga vallata, Furore (opera grazie a cui Steinbeck ricevette il Premio Pulitzer, considerata il massimo capolavoro dell’autore), La luna è tramontata, La valle dell’Eden, Quel fantastico giovedì ed infine Viaggio con Charley.
Steinbeck morì all’età di 66 anni, in seguito a una crisi respiratoria acutizzata dall’asma, il 20 dicembre del 1968 nella sua casa di New York.
“Le situazioni pericolose, tristi, luttuose mi facevano vibrare come se solo nel dramma la vita si mostrasse davvero: nuda, integra, commovente”.
Ciascuno di noi, anche solo per un istante, ha conosciuto l’irresistibile forza di attrazione dell’abisso.
Daria Bignardi sa metterla a nudo con sincerità e luminosa ironia, rivelando le contraddizioni della sua e della nostra esistenza, in cui tutto può salvarci e dannarci insieme, da nostra madre a un libro letto per caso. Partendo dalle passioni letterarie che l’hanno formata, con la sua scrittura intelligente e profonda, lieve, Daria Bignardi si confessa in modo intimo – dalle bugie adolescenziali agli amori fatali, fino alle ricorrenti malinconie – narrando l’avventura temeraria e infaticabile di conoscere sé stessi attraverso le proprie zone d’ombra. E scrive un inno all’incontro, perché è questo che cerchiamo febbrilmente tra le pagine dei libri: la scoperta che gli altri sono come noi.
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Libri che mi hanno rovinato la vita – la mia recensione
Non è il primo libro che ascolto di Daria Bignardi (avevo ascoltato in passato “Storia della mia ansia“) ma è il primo che la svela per quella che era e che è.
Una lettrice compulsiva che analizza la sua attrazione intima verso la malinconia. L’ho trovata un’autobiografia ironica ed onesta con un grande messaggio di fondo: i libri ti accompagnano nella vita. Spesso sono quel peso che fa protendere l’ago della bilancia verso determinate scelte piuttosto che altre; in altri casi sono dei silenziosi compagni di viaggio che al momento del bisogno sono pronti ad accoglierti tra le loro pagine.
L’importante è che siano belli, i libri,e onesti, che non siano sciatti o furbi o pretenziosi, se no diventano irritanti o inutili, o fanno perdere tempo, e il nostro tempo sulla Terra è poco, e bisognerebbe vivere per sempre solo per leggere, che è così furiosamente bello.
Nonostante buona parte delle letture della Bignardi non appartengano al mio repertorio, ho apprezzato il tono di confidenza con cui l’autrice ha voluto raccontarsi.
Chi è Daria Bignardi
Daria Bignardi (Ferrara, 14 febbraio 1961) è una giornalista, conduttrice televisiva e scrittrice italiana.
Giornalista in attività dagli anni ottanta, ha esordito in Rai con Gad Lerner nel 1991 nella trasmissione Milano, Italia. Nel 1995 è passata a Mediaset, diventando conduttrice, tra l’altro, di talk show di costume e reality show (Tempi moderni e Grande Fratello). Su LA7 ha condotto Le invasioni barbariche. Come giornalista ha collaborato con Vanity Fair, ha diretto Donna dal dicembre 2002 al marzo 2005 e nel 2009 ha esordito come scrittrice (i suoi romanzi sono editi dalla Mondadori). È stata direttrice di Rai 3 dal 18 febbraio 2016 al 26 luglio 2017.
Questo romanzo è un autentico melodramma americano, caratterizzato da una scrittura che vuole tracciare la deriva dei sentimenti, il mistero irriducibile delle persone che pensiamo di conoscere, le forze nascoste che spingono ad agire in modo inaspettato. È una storia di dolore e scoperta di sé, che in modo inesorabile fa esplodere le conseguenze di una scelta troppo a lungo rimandata.
Una telefonata improvvisa al mattino, mentre il sole sta sorgendo. «Ero certo di trovarti sveglio» dice una voce, e senza indugi si lancia in una preghiera di aiuto, in una richiesta disperata di soldi.
Nella sua casa di New York, Kip Woods si è addormentato all’una e mezza di notte. Lavora come impiegato in una società di investimenti, non ha problemi economici, e riconosce immediatamente quella voce. A chiamarlo è Thaddeus, si sono incontrati al college e la loro lunga amicizia non è mai stata alla pari.
Seducente e pieno di grazia, sempre attento agli altri, capace di ascoltare e di dare affetto, a sua volta alla ricerca di una costante approvazione, Thaddeus è entrato da subito nei pensieri del giovane Kip, che però è consapevole della realtà: «Sarei stato un idiota a illudermi che lui pensasse a me anche solo la metà di quanto io pensavo a lui».
Thaddeus è stato un aspirante scrittore, poi uno sceneggiatore dal successo in declino. È sposato con una artista che fatica a sfondare, insieme hanno due figli adolescenti, e la famiglia vive in una villa sull’Hudson il cui mantenimento sta dilapidando il loro patrimonio. Per questo ha bisogno di soldi, e solo Kip può salvarlo. Thaddeus non ha mai colto la devozione di Kip, oppure l’ha sempre volutamente ignorata, creando uno sbilanciamento e una dipendenza che può solo far presagire un disastro. A distanza di anni dal loro primo incontro, ormai insofferente della gabbia nella quale si è recluso, Kip affronta un amore che forse non verrà mai corrisposto, consapevole di poter distruggere un’amicizia in nome del desiderio.
Il nuoto, il corpo che si perde e si ritrova nell’acqua, e la letteratura, il desiderio di scrivere senza compromessi, sono le uniche due certezze di Lidia. “La cronologia dell’acqua” è così la storia di una vita che “non segue alcun ordine. Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa ed effetto come vorremmo. È tutta una serie di frammenti e ripetizioni e trame,” perché “questo condividono il linguaggio e l’acqua”. Tutto scorre, nelle parole come nelle corsie di una piscina, in questo romanzo che rinnova radicalmente la tradizione del memoir, raccontando senza ipocrisie il genere, la sessualità, l’abuso, l’elaborazione del lutto, il superamento della sofferenza. Lidia cresce con un padre violento e una madre incapace di proteggerla, in una famiglia che la condizionerà anche quando, proprio grazie a una borsa di studio per il nuoto, riuscirà ad allontanarsi. Colpita da una perdita straziante, si trova a fare i conti con un dolore estremo: Lidia reagisce, sbaglia, cerca nell’alcol e nel sesso una via di fuga, tocca il fondo, reagisce ancora, riprende a nuotare. Dentro la muove un desiderio di vita e di creazione – e attraverso incontri decisivi con autori come Ken Kesey e Kathy Acker prende forma il suo cammino di scrittrice. Il viaggio che Lidia affronta, e nel quale trascina con passione e levità struggente il lettore, è un viaggio di dipendenza e autodistruzione, e poi di sopravvivenza. Un viaggio che trova una conciliazione finale in un amore sincero, in un figlio che nuota felice anche se malissimo, e in un libro, questo, che testimonia una nuova profonda consapevolezza di sé nel proprio mondo.
«Questa è la storia dei cinque anni che ho trascorso da ragazzo, con la mia famiglia, nell’isola greca di Corfù. In origine doveva essere un resoconto blandamente nostalgico della storia naturale dell’isola, ma ho commesso il grave errore di infilare la mia famiglia nel primo capitolo del libro. Non appena si sono trovati sulla pagina non ne hanno più voluto sapere di levarsi di torno, e hanno persino invitato i vari amici a dividere i capitoli con loro»: così Gerald Durrell presenta questo libro, uno dei più universalmente amati che siano apparsi in Inghilterra negli ultimi trent’anni. Ma il lettore avrà il piacere di scoprirvi anche qualcos’altro: la storia di un Paradiso Terrestre, e di un ragazzo che vi scorrazza instancabile, curioso di scoprire la vita (che per lui, futuro illustre zoologo, è soprattutto la natura e gli animali), passando anche attraverso avventure, tensioni, turbamenti, tutti però stemperati in una atmosfera di tale felicità che il lettore ne viene fin dalle prime pagine contagiato.
Mare mosso è la storia di un arduo salvataggio, ispirato a un’impresa realmente accaduta al largo del mar di Sardegna, che l’autore arricchisce con una decisa atmosfera da noir mediterraneo che rende omaggio a Corto Maltese e Jean-Claude Izzo, raccontando di traffici d’armi, stupefacenti, amicizie coraggiose e nemici senza scrupoli.
La notte del 24 dicembre 1981 Radio Cagliari intercetta l’SOS di un cargo turco alla deriva, la Izmir. Nella pancia della nave, in balìa del vento di maestrale forza sette, ci sono seicento tonnellate di pesce surgelato. Potrebbe affondare da un momento all’altro. Quella notte, quando il telefono squilla, Achille Vitale sale a bordo della Renault R4 e chiama a raccolta la sua piccola ciurma, organizzando i soccorsi. Achille ha trent’anni, è un ingegnere navale e dirige per conto del Cavaliere – un facoltoso armatore napoletano – una flotta di rimorchiatori a Cagliari. Il suo mestiere è quello di uscire in mare – di giorno o di notte, con qualsiasi tempo, in soccorso di yacht, motoscafi, navi cargo e petroliere in difficoltà – rischiando la vita senza paura. In quella medesima e fredda notte della vigilia del 1981, ad Atene c’è un uomo molto interessato a recuperare il carico della Izmir. Qualcosa di illegale e di gran valore. Cosa nasconde davvero la pancia d’acciaio della nave cargo? Riuscirà Achille Vitale a condurla in porto, affrontando la potenza feroce del mare in tempesta, i ripetuti guasti allo scafo e le spericolate contromosse attuate da quel misterioso uomo di Atene?
C’è stata una famiglia che ha sfidato il mondo. Una famiglia che ha conquistato tutto. Una famiglia che è diventata leggenda. Questa è la sua storia.
Intrecciando il percorso dell’ascesa commerciale e sociale dei Florio con le loro tumultuose vicende private, sullo sfondo degli anni più inquieti della Storia italiana – dai moti del 1818 allo sbarco di Garibaldi in Sicilia – Stefania Auci dipana una saga familiare d’incredibile forza, così viva e pulsante da sembrare contemporanea.
Dal momento in cui sbarcano a Palermo da Bagnara Calabra, nel 1799, i Florio guardano avanti, irrequieti e ambiziosi, decisi ad arrivare più in alto di tutti. A essere i più ricchi, i più potenti. E ci riescono: in breve tempo, i fratelli Paolo e Ignazio rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dagli spiantati nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione… E quando Vincenzo, figlio di Paolo, prende in mano Casa Florio, lo slancio continua, inarrestabile: nelle cantine Florio, un vino da poveri – il marsala – viene trasformato in un nettare degno della tavola di un re; a Favignana, un metodo rivoluzionario per conservare il tonno – sott’olio e in lattina – ne rilancia il consumo in tutta Europa… In tutto ciò, Palermo osserva con stupore l’espansione dei Florio, ma l’orgoglio si stempera nell’invidia e nel disprezzo: quegli uomini di successo rimangono comunque «stranieri», «facchini» il cui «sangue puzza di sudore». Non sa, Palermo, che proprio un bruciante desiderio di riscatto sociale sta alla base dell’ambizione dei Florio e segna nel bene e nel male la loro vita; che gli uomini della famiglia sono individui eccezionali ma anche fragili e – sebbene non lo possano ammettere – hanno bisogno di avere accanto donne altrettanto eccezionali: come Giuseppina, la moglie di Paolo, che sacrifica tutto – compreso l’amore – per la stabilità della famiglia, oppure Giulia, la giovane milanese che entra come un vortice nella vita di Vincenzo e ne diventa il porto sicuro, la roccia inattaccabile.
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