Castore, come scoprire la reale zona di comfort uscendo dalla propria zona di comfort.

L’idea di scalare il mio terzo 4000 ruotava vorticosamente nella mia testa già da parecchio tempo. Un’idea che per diversi motivi finora non si era mai concretizzata finché un giorno di metà luglio, per caso, ho letto un annuncio su Facebook in cui veniva pubblicizzata l’organizzazione di una salita alla vetta del Castore, uno dei 4000 del gruppo del Monte Rosa. Ho scritto immediatamente ai responsabili per chiedere maggiori informazioni ed in seguito alle loro risposte ho accettato. L’avventura è iniziata sabato 4 agosto con il ritrovo a Stafal e la conoscenza degli altri membri della compagnia: Filippo e Alberto (Le nostre guide), poi Marco, Hanyu, Matthieu, Daniela, Sara, Giacomo e Mattia. Tutti insieme siamo giunti alla stazione di partenza della funivia e dopo essere stati condotti al Colle di Bettaforca dagli impianti di risalita, abbiamo iniziato a camminare sul sentiero n. 9 in direzione del Rifugio Quintino Sella, punto di partenza per il salto verso la vetta del Castore programmato per il giorno successivo.

ll primo tratto del sentiero, piuttosto agevole, corre in mezzo a pietraie fino ad un ometto di pietra che segna l’inizio del tratto terminale che consiste in una cresta a tratti aerea e lievemente esposta, ma ben attrezzata con corde fisse a cui ci si può assicurare. Il panorama intorno è stupendo, si ha un magnifico colpo d’occhio sulla Val d’Ayas, la sottostante Valle di Gressoney ed il versante Valsesiano del monte Rosa. Una volta superato il ponticello di legno posto in prossimità dell’ultimo affilato tratto di cresta, siamo giunti al rifugio dove ci siamo sistemati. La serata scorre tranquilla senza avvertire i tanto temuti sintomi causati dalla quota ed ognuno di noi ne approfitta per approfondire la conoscenza con gli altri componenti del gruppo. Tra una chiacchiera e l’altra ecco che, verso le 20:00, la luce del sole tinge le montagne circostanti di un arancione infuocato che si riflette nel cielo e nelle nuvole sopra di esse. Il vento sferzante rende l’atmosfera ancora più magica e suggestiva. Fuori dal rifugio, in piedi al limitare del pianoro, ammiro questo spettacolo della natura, l’aria è frizzante, il cielo è terso ed i colori stupendi. Tutto questo farà da prologo a quella che si rivelerà essere una magnifica giornata.

Ore 4:00 del mattino di domenica. Suona la sveglia. Dopo una super colazione, vengono allestite le cordate: Matthieu, Hanyu, Marco ed io saremo guidati da Alberto. Pronti via ed iniziamo avanzare sul Ghiacciaio di Felik illuminati solamente dalla luce delle nostre torce frontali. La traccia sale sul ghiacciaio e mentre il sole inizia ad illuminare timidamente il paesaggio circostante, una colonna di minuscole lucine si muovono lentamente in direzione della ripida rampa che porta al Colle Felik situato a metà percorso. Giunti sul colle veniamo riscaldati dal tiepido sole mattutino i cui raggi illuminano la parte più spettacolare del cammino: la cresta terminale che conduce ai 4.228 m della vetta del Castore. Superato il primo ripido pendio, continuiamo sulla traccia che prosegue con alcuni saliscendi e segue il filo di cresta facendosi sempre più stretta ed affilata. Continuiamo a camminare su una traccia larga poche decine di cm circondati da alcune delle più belle montagne delle Alpi quando, improvvisamente, la pendenza si addolcisce e la cresta si allarga: siamo in cima! Ci sono tre italiani, un francese ed un cinese sulla vetta del Castore! (Ed anche se sembra, non è una barzelletta!) Trascorriamo in vetta poche decine di minuti, giusto il tempo per scattare qualche foto ed ammirare i magnifici giganti intorno a noi, quindi iniziamo la discesa seguendo il medesimo percorso della salita sino a giungere nuovamente al Quintino Sella.

Dopo una breve sosta al rifugio per riordinare l’attrezzatura continuiamo a scendere il più velocemente possibile verso il Colle di Bettaforca dove giungiamo giusto in tempo per prendere l’ultima corsa utile per ritornare a Stafal. Così la nostra avventura si conclude allo stesso modo in cui era iniziata: seduti al tavolo di una birreria a ridere e scherzare parlando di montagne. Tutto molto bello direte voi, ma: “Cos’ha a che fare con il titolo?” Ecco, nel suo piccolo questa esperienza mi ha dato modo di riflettere riguardo a quanto il concetto di “zona di confort” sia molto reale e concreto, molto spesso i limiti che imponiamo a noi stessi sono frutto esclusivo della nostra mente, come se di fronte ad esperienze nuove il nostro cervello attivasse una sorta di sistema di protezione tale per cui tutto ciò che non rientra nella nostra abituale routine viene classificato come “non confortevole”.

Pensateci un attimo: partire per scalare una montagna di 4000 m insieme a persone completamente sconosciute, alzarsi alle 4 del mattino e camminare per più di 8 ore sono tutte cose che normalmente verrebbero classificate come “non confortevoli”, ma contemporaneamente oltre a queste barriere c’è un mondo magnifico e “confortevole” fatto di persone, luoghi ed emozioni che valgono la pena di essere vissute in pieno e per cui vale la pena di uscire dalla nostra zona di comfort. Solo in questo modo troveremo la nostra reale zona di comfort al di fuori della normale zona di comfort. Comfort. Agio. Comodità. Chi dice che questo si trova nella quotidianità? Nella comodità? Nella routine? In fondo il termine “comfort” significa “comodità” intesa come “agio”. Ognuno trova il proprio agio a modo suo. Nel luogo in cui è a proprio agio. Chi a casa sul divano…chi in montagna a 4000 m con uno zaino sulle spalle…

A cura di Davide Antonini.
Organizzazione a cura di White & Blue Mountain Guides

 

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